Storie del mondo piccolo – parte 1^

In un tempo imprecisato dell’era fascista, in una cittadina dell’entroterra siciliano, vi era un podestà, la cui identità non mi fu rivelata da colui che mi narrò questo curiosa storia. Quest’uomo di normale corporatura, con un visetto trafilato e un occhio strabico, si vantava di essere un fascista della prima ora. E forse lo era. Alle volte per legittimare questa sua primogenitura sugli altri pezzi grossi del partito aveva osato persino sostenere di avere partecipato alla marcia su Roma, ma la cosa aveva riscosso poco credito e molto sarcasmo, al punto che si astenne dal ripeterlo in pubblico.
Di mestiere faceva il maestro come sua eccellenza amatissimo, la cui effige aveva fatto apporre in tutti i locali pubblici e una grande la teneva in casa in bella vista, affinché chiunque vi si recasse potesse constatare il profondo attaccamento al fascismo e al suo fondatore cavaliere Benito Mussolini.
Era un uomo ligio al regime e alla sua dottrina, voleva che tutte le indicazioni fornite dal segretario del partito Achille Starace fossero eseguite alla lettera.
Se l’idiota segretario nazionale stabiliva l’abolizione del Lei e l’introduzione del Voi egli subito si adeguava e pretendeva che tutti facessero altrettanto.

Ogni sabato era il primo a presentarsi alle esercitazioni del premilitare, certo il suo fisico non gli consentiva di potere svolgere esercizi fisici che fossero di esempio e stimolo per gli altri. Aveva provato il salto della cavallina, ma invece di superarla vi era rimasto goffamente a cavallo, suscitando l’ilarità degli astanti. Del salto nel cerchio di fuoco non ne parliamo, non era neanche il caso di pensarci, soprattutto dopo la brutta figura rimediata con il salto della cavallina. Comunque, egli era sempre presente, rigorosamente in divisa con il fez in testa, gli stivaloni lucidi, l’aspetto marziale, come doveva essere di prassi, la pancia in dentro e il petto in fuori, dava ordini a destra e a manca.
E se qualche ragazzino non era in ordine con la divisa o si distraeva durante gli esercizi erano legnate, perché cosi andavano forgiati i figli della lupa: nell’ordine e nella disciplina; essi sarebbero stati i protagonisti, che guidati dalla infallibile Duce, avrebbero senza altro realizzato la grandezza dell’Italia fascista.Quando pensava alla funzione educatrice e formativa dei giovinetti che ogni sabato affollavano il luogo delle esercitazioni, il podestà provava un senso di profonda commozione e nello stesso tempo compiacimento per l’opera che stava compiendo, tutta rivolta alla grandezza della Patria e dell’infallibile suo condottiero.
Ora era antichissima tradizione in quella cittadina festeggiare in maniera solenne la festa dell’Assunta. La suggestiva manifestazione si svolgeva con una sorta di carro trionfale a colonna, insomma un fercolo abbastanza alto, denso di simbolismi e riccamente ornato con angeli in terracotta, vasi di fiori, specchi e altri ornamenti vari.
Era tradizione che alla fine della processione si dava, in maniera dissennata, l’assalto al fercolo e lo si spogliava di ogni suo ornamento: reputandosi fortunati quelli che fossero riusciti a portare qualcosa a casa, come se si trattasse di una preziosa reliquia.
Nel giorno solenne il potestà, impeccabile in divisa da fascista, stava dietro al fercolo, e avendo adocchiato un vaso, divenuto oggetto del suo desiderio, lo tenne sotto mira per tutto il tempo del percorso.

Il guaio fu che lo stesso vaso era desiderato da un prelato, il quale nella sua mente aveva già prefigurato il posto dove sistemarlo.
Capirete che alla fine della processione entrambi i personaggi si avventarono su l’oggetto del loro desiderio. Ed essendo giunti contemporaneamente incominciarono a tirare chi da un lato e chi dall’altro. Entrambi all’istante non riuscivano a capire perché il vaso non veniva via, ma ci misero poco a capire ed allora il podestà sentendosi toccato nel suo onore di immaginario sansepolcrista , senza pensarci due volte, mollò, di vero cuore, un ceffone al mal capitato prelato contendente. Il quale stramazzò al suolo, più sbigottito che dolorante, perché mai si sarebbe aspettato un tale gesto davanti a tutto il paese.

Le storia si concluse male per il podestà, il quale si portò il vaso a casa, ma a seguito delle proteste della Santa Sede presso i vertici romani del partito, perse il suo posto e dovette rientrare nei ranghi.
Correva l’anno 1936 e visti i frequenti incidenti, ed in particolare quello increscioso sopra narrato, le autorità ecclesiastiche fecero cessare tale barbara usanza e non ci fu niente più per nessuno.