Credenze e superstizioni a Randazzo nei secoli passati
II Cocchiara, ribadendo un concetto del Pitré, dice: «La religione di una civiltà è soggetta a diventare la superstizione della civiltà successiva… e come dall’accordo di varie note esce la musica, dall’incrocio delle più varie razze e di diversi popoli è nato in Sicilia un patrimonio di credenze, di feste e di canti… ». Questo è quello che afferma il Cocchiara per il popolo siciliano ed è parimenti quello che noi possiamo affermare, considerando la sua triplice origine, per il popolo randazzese. Origine diversa che, ancora fino alla prima metà del secolo scorso, si poteva constatare nel linguaggio, che cambiava da quartiere a quartiere, da famiglia a famiglia, per i suoi suoni più o meno stretti ed involuti, per la mentalità, per i suoi costumi e soprattutto per le credenze, religiosità e superstizione.
Le credenze superstiziose tramandate e da noi conosciute partono da un fondo prettamente religioso che, a poco a poco, lungo i secoli, deteriorandosi nella mente e nella psiche del popolo, si è trasformato in forme di vera superstizione. Fino a toccare le fasi più acute di ciò che va sotto il nome di “magia nera”, cioè di quegli atti che per mezzo di incantesimi hanno lo scopo e tendono a produrre effetti miracolosi per l’ intervento di forze extranaturali.
Scrive Don Virzì nel volume “Randazzo ed i suoi Costumi”: “Randazzo ha ancora nei suoi quartieri suburbani casi di questo genere: il quartiere di San Vito è il più famigerato. Vi sono in esso ancora mestieranti che esercitano la magia nera a scopo di lucro; gente che possiede il “libro del 500″ che a suon di quattrini, serve quei poveri ignoranti che ricorrono a loro. Il ” murazzorotto” e le case dietro il cimitero, sono conosciuti da tutti come luoghi che hanno il loro “mago” taumaturgo, tanto consultato che ci vive tanto bene da potersi concedere il lusso di una macchina e telefono.
Ma basta questo accenno di colore delle condizioni del paese; non e nostra intenzione penetrare dentro questo mondo misterioso e segretissimo per i non iniziati: invitato infatti un tale mestierante da me, perché mi facesse conoscere il suo “libraccio manoscritto” di formule magiche, a scopo di cultura, si è guardato bene dall’accontentarmi.”
Cerchiamo di trattare, invece, qualche caso particolare nel quale religione e superstizione si innestano intimamente.
Scrive don Virzì nel volume Randazzo nei suoi Costumi: “Tra i fatti miracolosi che hanno eccitato la fantasia del popolo randazzese vi è la “LEGGENDA DEL CROCIFISSO DI SAN MARTINO”, che, oltre a suscitare la più viva devozione nel cuore del popolo cristiano, ha influenzato l’incolto suo animo traendolo verso pratiche superstiziose che tendono a combattere il maltempo e soprattutto le tempeste. La storia è la seguente: si racconta che il bel crocifisso di San Martino, acquistato dalla chiesa nel 1530 da uno scultore messinese appartenente alla famiglia Matinati, era stato ordinato e scolpito dietro incarico di una chiesa di un paese all’interno della Sicilia, non meglio identificato.
Lo scultore personalmente doveva andarlo a consegnare, messosi in via per la “trazzera regia” che portava da Messina a Palermo, arrivò a Randazzo che era già buio. Rincrescendo allo scultore di dover collocare il crocifisso nel fondaco assieme alle bestie da soma, pregò il parroco del quartiere di permettergli di depositarlo, per la sola notte, nella chiesa di S. Martino. Cosi fu fatto. Ma il mattino seguente, mentre lo scultore tentava di portarlo fuori, si scatena una tale tempesta che gli impedisce non solo di uscire, ma anche di partire per quel giorno. Il tentativo si ripeté per ben tre giorni di seguito e allora il popolo pretese che il Crocifisso restasse a Randazzo. Lo si chiama da allora il “Crocifisso della pioggia”, perché viene portato in processione nei tempi di grande siccità. Egli ha polarizzato intorno a sé la devozione del popolo radazzese e fatto comporre inni, talora ispirati e commoventi, in cui palpita il pathos più delicato, che hanno per argomento questa santa immagine del Crocifisso su cui, da allora si concentra la devozione più importante della chiesa di San Martino.
Da qui, secondo me, derivano le infinite formule, le pratiche superstiziose che si esercitano in Randazzo contro il maltempo. Si sa che l’insidia più temibile per le vigne, precipua cultura del territorio, sono le tempeste di grandine; tra esse la più temuta è la cosiddetta “nuvola di Brieni” che è chiamata anche la “coda del drago”. Qual è il mezzo per farla dissolvere, per “tagliarla”? L’uso di un chiodo con il quale si fanno tante croci, in ricordo, come si disse, dei tre chiodi del Crocifisso di san Martino. Il significato del chiodo si riferisce, in verità, nella mente del recitante, alla taumaturgica protezione del Crocifisso, ma lo scopo precipuo è di colpire a morte gli Spiriti maligni, le streghe, i folletti, gli esseri preternaturali che producono le tempeste. È ancora vivo nella mente del popolo il ricordo di un antico sacerdote, per altro molto pio, che praticava gli scongiuri contro questi esseri apportatori di tempeste, il sac. D. Pietro Campo, che si serviva del Suo “libraccio’’ per combatterli ed annientarli. Solo una volta ne rimase deluso, in cui la tempesta di grandine avvenne di notte, quando egli dormiva ed allora, alzatosi la mattina e affacciatosi al “Bauzu”, vicino a casa sua, in via Fontana, vista la rovina dei vigneti operata dalla grandine, esclamò: «O bricconi! Avete potuto operare tanto danno perché io dormivo!».