Il rito del battesimo nella tradizione popolare
Abbiamo voluto trattare a parte questo argomento, perché, ai tempi, il radicato senso religioso del nostro popolo, lo considerava sempre uno dei momenti capitali dell’umana esistenza. Appena nato il bambino, i genitori si interessavano a darne subito notizia ai futuri padrini, i quali, possibilmente in giornata, si recavano a far visita alla puerpera, recando in dono uova o galline. Essi solevano essere per lo più marito e moglie, fratello e sorella o fidanzati. E questo, possiamo dire, era il primo atto di consacrazione del futuro “cumparatu”: in questa occasione infatti i genitori, ne facevano formale richiesta. Non era possibile rifiutarsi perché la tradizione in tale materia era intransigente .
Si badi ancora che una serietà tutta particolare rivestiva l’istituto del “cumparatu”: era un legame più stretto della stessa parentela, più esigente, più rigorosamente osservato. Nella tradizione popolare l’istituto del compare e della comare di battesimo aveva un’ importanza straordinaria, tanto che il padrino assumeva presso la famiglia del neonato un posto di parentela spirituale strettissima e quasi superiore ad una parentela di sangue. “Cumpari ri San Giuvanni “! Quante cose non significava presso il nostro popolo, quando pensiamo che, se anche tra parenti era lecito offendersi (vedete dove andava a finire la sapienza popolare !), tra compari invece era assolutamente vietata qualsiasi parola o azione minimamente offensiva. E’ noto a tutti che il comparato in Sicilia rappresentava la cosa più sacra, talché lo stesso sangue cedeva di fronte ai vincoli che da esso derivavano a coloro che li contraevano.
Un affetto tutto particolare univa le due famiglie; rinnegare o tradire questo affetto era ritenuto da tutti un tradimento, un sacrilegio. Tale affetto investiva tutti i membri della famiglia e in particolare “u figghiozzu” nei cui riguardi il padrino era veramente il secondo padre: egli si interessava della sua educazione, del suo avvenire e nei casi più importanti della vita, veniva richiesto sempre il suo parere. Da ciò si può dedurre quale importanza aveva l’istituto del “cumparato ” nella vita del popolo Randazzese.
Oltre al compare e alla comare di San Giovanni esisteva anche “a cumari ri copura “, ossia colei che lavava la cuffietta tenuta dal bambino il giorno del battesimo.
Se nel periodo tra la nascita ed il battesimo il bambino correva pericolo di vita, era ritenuto sacro dovere dei genitori e della levatrice, amministrare subito il battesimo. Naturalmente, se il bambino fosse sopravvissuto, i genitori avrebbero avuto quel giusto orgoglio di solennizzare l’evento.
Nei casi normali, invece, il bambino veniva condotto in chiesa con accompagnamento di amici e parenti.
Il nome di battesimo veniva stabilito in famiglia: il primo che nasceva, se maschio, avrebbe avuto il nome dell’avo paterno, se femmina dell’ava paterna; quindi aveva diritto a perpetuare il suo nome l’avo e l’ava materna. Una deviazione da questa consuetudine, anche se per motivi giusti, era causa di liti.
La madre non assisteva mai alla cerimonia, alla fine della quale, durante il ritorno, non mancavano i ragazzi
che accompagnavano il corteo con grida curiose (mettevano il dito in bocca dandogli un movimento vibratorio dalla quale usciva un suono simile alla O interrotta O O O O !).
Essi pretendevano i soldini e i confetti che venivano loro buttati a manate, poiché in caso contrario cominciavano a gridare “pillirini”: che significa miserabili.
Le spese della cerimonia religiosa erano a carico del padrino; mentre le spese ” ru trattamentu ” erano a carico dei genitori.
Giunti a casa i compari e le comari si baciavano vicendevolmente in fronte, quindi si iniziava “u trattamentu” e poi ” u sonu “, in tutto simile a quanto diremo per il matrimonio. Col tempo, con grande disappunto dei ragazzi, che tacciavano i loro contemporanei di veri “pillirini”, andò scomparendo l’usanza di buttar denaro.
LOCANDINA