Antiche credenze randazzesi sulla nascita
Il lavoro per la preparazione del corredo del neonato iniziava quasi subito dopo il concepimento in modo che ai sette mesi fosse completo: ” a setti misi – i panni stisi” diceva un vecchio proverbio popolare.
Lo stesso proverbio si trova nel Pitré con una piccola variante: “a setti misi li fadili stisi”. Questa tradizione era rigorosamente rispettata ed era la futura madre che cuciva tutto, o il più che fosse possibile di sua propria mano.
Gli oggetti più in uso che componevano il corredo erano: 1) “Cupurielli” – Almeno sei, di lana oppure di nastri con merletti. Alcune di queste cuffiette erano di colore celeste, altre di colore rosa (si usava il celeste per il maschio e il rosa per la femmina); nella maggior parte però erano bianche, potendosi così usare per ambo i sessi; 2) “Vistinelli”- Anche queste di lana e lavorate a mano, di color rosa, celeste e bianco come per le cuffie. Comunque dominava il concetto simbolico dell’innocenza (bianco) o nella necessità di distinguere il sesso, generalmente color azzurro se maschio, rosa se femmina; 3) “Spinzarelli” – Specie di sottoveste di color bianco;
4) “Camisi” – Camicette bianche di lino o di tela a seconda delle possibilità della famiglia; 5) “Carzzetti” – Calze di lana lavorate a mano di color rosa, celeste o bianco come sopra; 6) “Scarpuzzi” – Di lana lavorate a mano, avevano la forma di una scarpetta legata nella parte superiore da lacci pure di lana, che terminavano con fiocchi; 7) “Mantelli” – In genere erano bianchi: per i maschi con cappuccetto, per le femmine col bavero davanti; 8) “Pittini” – (Bavari) alcuni erano imbottiti per evitare che “a bavitta” portasse umidità al petto; altri erano puramente ornamentali, di stoffa bianca con ricami e merletti; 9) “Panni” – Di tela bianca e di forma quadrata erano con funzione di mutande per i primi mesi (una volta sino a otto mesi, successivamente sino a due o tre mesi);
10) “Fasci” – Lunghe pezze di stoffa di lino o di mussola di forma rettangolare che servivano per avvolgere, in particolare, l’ombelico del bambino; ma praticamente finivano per avvolgere tutto il corpicino dalle ascelle in giù del neonato. Anche queste venivano usate per pochi mesi, a seconda della robustezza del bambino.
11) “Naca” – Culla del bambino di legno o di ferro battuto. La forma più in uso era quella a navicella, pendente da due aste verticali in modo che si potesse dondolare ; veniva addobbata pochi giorni prima della nascita con imbottite di bambagia o di pelli e con “cutricelli ” riccamente lavorati. Poi veniva coperta con un velo bianco pendente dall’alto. Si preparava a parte ” u canistru “: una piccola cesta di forma ovale ornata con merletti, nastri e quant’altro la ricca fantasia popolare poteva escogitare. Il giorno della nascita del bambino il “canistru” veniva posto dentro la culla o si appendeva ad una sbarra di ferro o di legno posta sopra la culla, per indicare che con quella cesta il neonato era venuto giù dal cielo portato dagli angeli.
Durante il parto veniva sempre invocata “a Madonna a Catina” , venerata della chiesa di San Nicola. Se c’era pericolo veniva tolto alla madre ed impegnato un orecchino (che poi veniva riscattato), il cui ricavato serviva a comprare l’olio per la lampada della Madonna. Si legge nel Pitré che in altri posti si faceva benedire precedentemente una candela che poi si accendeva durante il parto . Inoltre si suonavano i “tocchi” alla Madonna della Catena per invitare la gente a pregare. Tale suono era detto “L’Ave Maria delle Grazie” . Se il ciò non bastava si dava alla partoriente l’ “ostia biniritta ru Santu Patri” cioè con la benedizione di San Francesco di Paola, amministrata da uno dei Minimi, il cui convento si trovava in quello che oggi è l’ex presidio ospedaliero. Appena nato il bambino, la mamma gli metteva al collo una corona o una medaglietta della Madonna, mentre alla finestra si appendeva una “fascia” se era maschio, una “cutricella” se era femmina. Nei giorni successivi la madre rimaneva a letto per un periodo che variava dai quattro agli otto giorni. Nessuna puerpera in questa occasione mancava di mettere in vista la suppellettile più bella e più ricca di cui disponeva e di mostrare alle visitatrici, con una vanità non priva di orgoglio, le camicie e i corpetti ben ricamati. Quando spuntavano i dentini al neonato, il marito soleva fare un regalo alla moglie.
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Le stelle cadenti annunziavano nascite. Vari erano i pronostici sul sesso del nascituro. L’ultimo bambino poteva darli nel seguente modo: se aveva i capelli dietro la nuca terminanti a punta, sarebbe stato maschio; se si dividevano in due, sarebbe stata femmina. Questa credenza era comune a tutta la Sicilia. Nel mese di maggio, quando davanti alla porta della casa in cui abitava una donna incinta, passavano le “litanie”, si poteva sapere il sesso del nascituro, nel seguente modo: se, giunta la processione davanti alla porta, veniva pronunziato il nome di un santo, sarebbe nato un maschio; se il nome di una santa, sarebbe nata una femmina. Il giorno della festa dei Santi Pietro e Paolo, per sapere se il nascituro era femmina o maschio, bastava mettere una chiave al dito: se questa faceva un movimento orizzontale, nasceva un maschio; se rotatorio, una femmina. Se la mamma voleva sapere il sesso del nascituro, buttava una scopa davanti la porta: se passava per primo un uomo; era maschio; viceversa era femmina. Quando la donna era incinta, se la sporgenza del ventre era in avanti, il nascituro era maschio; se aveva forma rotonda, nasceva una femmina.
Duran te il parto all’insaputa della madre , si mettevano le forbici sotto il cuscino o il materasso: ciò avrebbe dovuto alleviare i dolori. Dopo la nascita si teneva di notte ” a lampa ” accesa: essa teneva lontano il demonio dal bambino non ancora battezzato.
Appena una donna aveva partorito si ponevano sul letto due coltelli a forma di croce e si teneva il lume acceso anche di notte: tutto ciò per evitare che entrasse la “Pagana” a soffocare madre e neonato . Se durante il battesimo, il bambino piangeva quando gli veniva messo il sale in bocca, sarebbe vissuto; altrimenti sarebbe morto. Dopo il parto la mamma doveva mangiare collo di gallina per irrobustire quello del neonato. In altri posti la madre mangiava “gallina lessata, lasciandone il collo al marito affinché non avvenisse che il collo del neonato si piegasse per debolezza o mollezza.” I capelli del bambino si tagliavano dopo un anno; se prima, gli si troncava la fortuna. Quando si tagliavano le unghia, gli si mettevano in mano oggetti d’oro se maschio, denaro se femmina.