Il fidanzamento nella metà del secolo scorso
Vi erano dei sentimenti così profondamente radicati nell‘animo umano, delle consuetudini così religiosamente tramandate di generazione in generazione, che né il volgere dei secoli, né il mutar dei costumi, riuscirono a cambiare, ma nemmeno intaccare. A maggior ragione sia lecito riferirlo agli usi e ai sentimenti che informavano e ispiravano nei tempi andati questo delicatissimo momento della vita dell’uomo e della donna , che era il fidanzamento. Una delicatezza e squisitezza tutta particolare, una pudicizia e innocenza infantile che non permetteva tra i fidanzati parole o atti che ricordassero il loro amore, senza che l’uno e l’altra ne arrossissero, come Lucia vicino a Renzo, erano i tratti salienti di questo amore, come era concepito dal nostro popolo.
Un giovane che aveva intenzione di fidanzarsi, dopo aver scelto la sua bella, doveva procurare di sapere se i parenti di lei erano disposti o meno a dargli in sposa la figliola.
Il mezzo più comunemente in uso era il seguente. Il pretendente, a notte inoltrata, poneva dietro la porta della casa ove abitava ” a zzita ” uno “zzuccu”. Il giorno dopo quando i genitori di lei, uscendo, si accorgevano di quel pezzo di legno, se avevano intenzione di sposare la figlia, lo facevano portare dentro; altrimenti lo lasciavano al suo posto. Nel primo caso il giovane si faceva avanti e chiedeva la mano della ragazza; nel secondo caso, si sarebbe cercata un’altra fidanzata. Analogo uso si praticava presso i contadini di Modica: però a posto ” ru zzucu” si poneva dietro la porta una “spazzola”.
Se respinto il giovane non mancava di vendicarsi, facendo trovare a posto” ru zzuccu ” una gatta morta, una gamba di asino o qualcosa di simile. Dopo questo passo iniziale, si compiva il primo atto che dava inizio al fidanzamento: ” u ricanuscimentu “. Questa cerimonia era altrove chiamata: ” entrata ” o “canuscenza”. Cosi il Cocchiara: ” il fidanzamento , nella storia del costume siciliano, è preceduto dalla “cunuscenza” , durante la quale, quando i giovani tra di loro non si conoscono, si vedono e si parlano senza che vi sia tra loro un impegno formale”.
Nel giorno fissato i genitori del giovane si recavano in casa della fidanzata per la reciproca conoscenza. In quella occasione si stabiliva, anzitutto, quante volte il fidanzato poteva recarsi in casa della giovane e in quale ora: in genere due o tre volte alla settimana verso sera. Era rigorosamente vietato al fidanzato di recarsi in giorni o orari diversi da quelli stabiliti. Il suo posto in casa era vicino al suocero o alla suocera, mai vicino a lei: poteva rivolgerle qualche sguardo ma solo da lontano.
Il fidanzato non usciva mai con la fidanzata, ne si poteva mostrare in pubblico con lei, neanche in compagnia della famiglia. Dopo qualche mese il fidanzato “nzingava” la fidanzata, ossia le portava l’anello, che dalla mamma del fidanzato le veniva posto al dito. In quella occasione si invitavano parenti ed amici e si faceva “u trattamentu”.
Come si è visto e come si avrà occasione di notare in seguito, un cerimoniale molto rigoroso regolava i rapporti tra i fidanzati. Per Natale la fanciulla regalava al fidanzato “u panittu” : Un dolce di pasta reale a forma rettangolare. In altri posti per Natale si regalavano i “mostaccioli“ o i “nucatuli” o i ” cucciddatu “. Questi dal canto suo le regalava una borsa o un paio di guanti. Per Pasqua invece lei regalava “l’agnellu pasquali” fatto di pasta reale, spalmata di “marmurata” e di ” iavuricchi “. Egli appena ricevuto tale dono ne rimandava una metà alla fidanzata, assieme ad un capretto, che o veniva mangiato assieme tra le due famiglie o diviso in parti uguali tra loro. Altrove era di uso regalare un oggetto di capriccio, ovvero una cassata. Non mancavano anche in questa circostanza gli usi superstiziosi: la fidanzata non doveva tagliarsi i propri abiti e non era lecito regalare ai fidanzati, tanto meno tra loro, spilli o coltellini: avrebbero potuto rompere le relazioni.
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