CREDENZE SUL MATRIMONIO

E’ notorio che prima del matrimonio, sia civile che religioso, devono precedere le pubblicazioni matrimoniali.
Anticamente a Randazzo tali pubblicazioni erano sostituite da “i banni ” : il sacrista, per tre domeniche consecutive durante la messa delle ore 11, leggeva ad alta voce nella chiesa matrice i nomi dei futuri sposi.
Naturalmente, specie le ragazze, sapendo che il loro nome veniva letto in pubblico, “si virgugnavanu”, ossia avevano vergogna ad andare ad ascoltare quella messa.
Nel giorno stabilito per il matrimonio, di buon mattino, lo sposo ed i parenti si recavano in casa della sposa, ove convenivano tutti gli altri parenti ed amici.
In genere, la cerimonia nuziale avveniva nelle prime ore del mattino; solo nei casi in cui le si voleva dare una solennità tutta particolare, si stabiliva un’ora tarda.
Anticamente era segno di distinzione sposarsi di notte, subito dopo la mezzanotte.
All’ora fissata si formava il corteo che dalla casa della sposa si recava in chiesa: i primi erano la sposa col proprio padre o in mancanza di lui col proprio fratello o il parente più intimo; dietro alcune bambine vestite di bianco sostenevano il lungo velo della sposa; veniva quindi lo sposo con la suocera, fratelli e sorelle degli sposi, parenti ed amici. Procedevano a due a due, a braccetto.
Appena la sposa usciva dalla porta di casa, dalle finestre veniva buttato del frumento, simbolo di prosperità ed abbondanza. ” E’ cosa superflua il far notare che gli antichi romani per augurare fecondità alla novella sposa le portavano innanzi farro e grano; e che l’uso di gettare noci, ceci abbrustoliti, fave, mandorle ed altro ingentilito con i confetti, sia niente più niente meno quello delle ” Nuces juglandes” che lo sposo distribuiva ai ragazzi come tacita dichiarazione di non essere più ragazzo che potesse giocare con loro alle noci.”. ” Il grano che la folla gettava sopra gli sposi che passavano, in Sardegna e in Sicilia, ricordava il grano sparso a piene mani nelle cerimonie nuziali indiane e latine. Il grano che soleva portarsi avanti alla sposa latina affinché diventasse feconda e il grano che l’odierna suocera indiana versa sul capo della nuora.”. ” Durante il passaggio del corteo o in altri momenti della cerimonia veniva fatto il lancio di confetti o di grano o di monete, per auguri di fecondità e di prosperità.”.
Era questo il momento più commovente della cerimonia, perché indicava l’uscita definitiva della fanciulla dalla propria famiglia. Da questo momento, ella non ne faceva più parte, perché si recava a formare un’altra famiglia, un altro focolare: nessuna mamma in quel momento sapeva trattenere le lacrime. Era il pianto del distacco e insieme della felicità per vedere compiuti finalmente i voti della figliola.
Eccoci in Chiesa: gli sposi stavano inginocchiati davanti l’altare e si stringevano le mani, mentre il sacerdote benediva l’anello. Finita la messa le donne baciavano la sposa e tutti facevano gli auguri ad entrambi; indi si riformava il corteo questa, volta preceduto dallo sposo che dava la destra alla sposa. Durante il tragitto per tornare a casa venivano gettati a profusione i confetti ai ragazzi, che sostituivano gli antichi soldi, come si è notato per il battesimo. In casa intanto alcune persone a ciò incaricate, preparavano tutto per il “trattamentu”, consistente in biscotti, caffè, liquori, vini etc.
Le spese erano a carico di entrambe le famiglie degli sposi: lo stesso dicasi per tutte le altre spese che si
sostenevano in questi giorni.-
Poco dopo mezzogiorno si preparava il pranzo: in genere, se d’inverno, si ammazzava per l’occasione un maiale.
Di prammatica erano gli spaghetti o i maccheroni al sugo. Era il momento del pranzo: salsiccia, o cotolette di maiale arrosto …… il pranzo di nozze fatto a comune spese delle famiglie, di speciale aveva la pasta invariabilmente in forma di grossi maccheroni, che a seguito di questo uso nuziale portava appunto il nome di ” macaruna ri li zziti”. Durante il pranzo, agli sposi, seduti in mezzo agli altri invitati, si facevano degli scherzi: si metteva, talvolta, se ne fa però solamente il cenno, tra le risa di tutti, una forchettata di pasta in bocca. Non mancavano i “sbrindisi” in onore degli sposi. Finito il pranzo c’era “u sonu” .
Funzionavano: tamburelli, flauto, organetto, chitarra e “friscalettu”, talvolta anche a ” ciaramella e u marranzanu “. Aprivano il ballo i novelli sposi. Durante questo ballo venivano “impicciati i sordi” sulla veste della sposa dai parenti e invitati di lei, sul vestito dello sposo dai parenti e invitati di lui. Con questo atto i presenti solevano manifestare la gratitudine agli sposi per la gioia loro procurata in quella giornata.
C’ era una gara tra i parenti di entrambi gli sposi per far sì che il loro prediletto avesse a fare la maggior raccolta.
Poi vi era una sosta, durante la quale venivano espressi gli auguri, letti o formulati dai presenti. Così ad
esempio si diceva: “Augigliosa” (Orgogliosa)” Felicità”. Dopo di che gli invitati cominciavano a ballare.
I ballabili in genere erano : siciliana, contraddanza, valzer, polka…., intanto si distribuiva ad intervalli vino, “calia”, fave abbrustolite, qualche biscotto. Era consuetudine a Randazzo far ballare poco la novella sposa “pi non farla stancari”( per non farla stancare). A tarda notte gli sposi venivano accompagnati nella loro dimora e, poco dopo, gli amici non mancavano ” ri purtarici a sirinata”. Anche qua non mancavano gli scherzi, giacché qualche amico aveva già pensato a mettere sotto le lenzuola del letto matrimoniale qualche pietra, uova, spine etc.
Circa il letto, è da osservare che dovevano essere state in quattro le donne che l’avevano preparato, oppure in due: in tre sarebbe stato cattivo augurio. La fidanzata non doveva assistere.
Dopo il matrimonio la sposa non usciva per otto giorni; sarebbe uscita la prima volta per ascoltare la Messa cantata, visitare i genitori e i suoceri, baciar loro la mano e riceverne la benedizione.
Il corredo e il mobilio della casa venivano portati dalla sposa. Gli oggetti più in uso erano:
1°) Biancheria (personale, per il letto, per la tavola da pranzo).
2°) Mobilio:
Camera da letto: letto; 2 canterani; sei “puttruni” (poltrone); un “amuarru”(armadio); un “lavamani”. Stanza da pranzo: ” a crirenza” (credenza) ; ” a tavula quattra” (tavolo quadrato) “; a cassa ra bianchiria”; 8 seggi.
Cucina: “conca” ( braciere); “cunchieri” (porta braciere); “mailla” (pila) ; “buffetta” (piccola tavola rustica); “stutabragia” (spegni brace); “quartara” (brocca);- “bummaru” (piccola brocca); “vasca”; ” baciri” (catinella).
3°) La sposa regalava allo sposo:
camicia – mutande – cravatta – biancheria per il giorno delle nozze.
4°) Lo sposo regalava alla sposa:
abito completo – calze – scarpe ….
La superstizione popolare pretendeva che, durante la cerimonia nuziale tutto doveva svolgersi secondo il previsto, giacché qualsiasi incidente poteva turbare la gioia degli sposi e degli invitati.
Era cattivo augurio per gli sposi che si avviavano in chiesa l’incontro di un corteo funebre.
Se durante la cerimonia cadeva per caso qualche candela, ciò preannunziava futura separazione degli sposi; se invece qualche candela si spegneva era indizio di futura miseria.
Gli sposi per tutto il tempo che impiegavano per recarsi in chiesa , celebrare il matrimonio, ritornare a casa non si voltavano mai indietro. Quando durante il percorso si rompeva qualcosa era segno di allegria.
Talvolta però c’era gente malvagia che mediante parole magiche ” li liganu ” ossia facevano si che gli sposi si odiassero.
Allora venivano “sligati” nel seguente modo: gli sposi compravano un coltello a punta e una donna a ciò adibita con la mano sinistra metteva il coltello al disotto le assi del letto dicendo: “Iavuli, comu sta stanti (fermo) stu cutiellu, sdiligami a chisti (nomi dei coniugi) se no li to carni ti fragellu”.
Conveniva sposarsi durante la luna crescente. Non si sposava in agosto (disgustu ) né in maggio ( cantanu i scecchi ) “. “Di maggio non ci si sposava…… perché il maggio è il mese dedicato alla Vergine …… Quanto ai giorni della settimana era escluso il venerdì e spesso anche il martedì, giorni generalmente nefasti.”.
Per i giorni della settimana bisognava notare: il lunedì si sposavano le vedove; il venerdì nessuno (c’è anche un proverbio che ha sugellato questo uso: ” ri venirí e ri marti non si spusa nè si parti “.
” Il matrimonio di venerdì non sarebbe mai stato rallegrato da gioie domestiche: le sventure si sarebbero accavallate l’una sull’altra; se non si stentava la vita per ristrettezze, si soffriva nella salute; se non moriva uno dei coniugi, non si avevano figliuoli e, avendoli, sarebbero morti.
Il giovedì e il sabato erano i giorni preferiti.
Quando sui piedi di una ragazza ( anche fidanzata ) veniva passata la scopa, essa non si sarebbe più sposata, restando zitella.

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